Perchè nasce ELPISPOINT

Il rapporto medico-paziente ha subito mutamenti epocali negli ultimi venti anni; il tramonto della concezione paternalistica della medicina ha permesso l’avvicinamento ad una visione di paziente informato e competente, in grado di prendere parte attivamente alle decisioni che riguardano la propria esistenza e la pianificazione delle cure.

I riflettori sono stati puntati sull’importanza dei temi legati alla qualità della vita(QoL). Parallelamente è lievitata la complessità dell’universo oncologico, che si è manifestata in un aumento della diversificazione e della durata delle terapie, tanto da parlare di cancro, in molti casi, come di malattia cronica. Tutto ciò ha portato ad una crescente interesse per gli aspetti non strettamente sanitari della storia della malattia.

Una mole di studi in costante aumento evidenzia come sia indispensabile affiancare alle terapie mediche un’attenzione a tutti gli aspetti legati alla dimensione fisica, sociale, di relazione e professionale. È aumentata la consapevolezza che di cancro non si ammala una persona ma un intero sistema, la famiglia, gli affetti, la rete sociale in cui si muove il malato.

Qualche anno fa Marina Sozzi ha pubblicato un libro dal titolo “Non sono il mio tumore”, proprio per denunciare la riduzione delle mille sfaccettature dell’essere umano ad una impersonale cartella clinica. Dietro un malato c’è un individuo con il suo bagaglio psicologico, di relazioni, interessi, motivazioni ed aspirazioni.

Tanti aspetti dell’esistenza di una persona che riceve una diagnosi di tumore vengono stravolti, messi in stallo, in alcuni casi abbandonati, in altri riformulati e adattati. La sofferenza portata da questi stravolgimenti si aggiunge a quella ineluttabile dovuta alla malattia.

Inoltre, e forse soprattutto, quando si conclude il tempo delle cure attive e si entra nel follow-up (il periodo di “osservazione speciale” che solitamente dura cinque anni) e ci si riaffaccia al mondo, c’è necessita di ascolto, supporto e occasioni per elaborare e trasformare i vissuti che hanno accompagnato la malattia e per riformulare un progetto di vita consapevole del percorso fatto e, in alcuni casi, delle limitazioni che questo comporta.

 

Per tutto ciò e per molto altro nasce ELPISPOINT, un centro di riabilitazione psico-sociale ed un punto informativo con un’idea di fondazione lungimirante e che, come tutti i pensieri grandi, richiede un forte impegno e la capacità di scommettere in alto.

 

ELPISPOINT si rivolge alla popolazione di tutta l’area sud-est della città metropolitana di Firenze:

  • per fornire un contenitore alle molte attività messe in atto in questi anni dal Terzo Settore, in accordo con il Dipartimento Oncologico dell’Azienda USL Toscana Centro, per far fronte ai mille disagi, carenze di informazione ed ai bisogni dei malati di tumore e dei loro familiari (e/o caregivers).
  • per tendere una mano a quanti brancolano nel buio del timore e della preoccupazione, delle mille informazioni contrastanti e spesso non attendibili, delle richieste a cui magari è possibile dare risposta, ma solo se si sa dove e come cercarla.
  • per consolidare e fare da cassa di risonanza alle reti di solidarietà ed ai tanti professionisti chescelgono consapevolmente di dare il loro contributo volontario per creare laboratori, mettere in ponte attività o creare degli ambiti in cui vincere lo sconforto, la paura e spesso, purtroppo, la solitudine e l’isolamento.

 

Ma questo è solo l’inizio, lo sguardo appassionato di tutti coloro che partecipano al progetto si spinge oltre, ad immaginare ELPISPOINT come un polo attrattivo per la popolazione, un centro di discussione di temi legati alla salute ed al benessere, un punto d’incontro dove consolidare una cittadinanza attiva, attenta ai temi della solidarietà e della mutua responsabilità.

 

Dietro ELPISPOINT c’è un lungo pensiero a cui hanno collaborato tanti professionisti della SOSD di Psiconcologia e del Dipartimento Oncologico dell’AUSL Toscana Centro, della Sezione Regionale Tosco-Umbra della Società Italiana di Psico-Oncologia e che ha visto nel Calcit Chianti Fiorentino un partner impegnato e determinante. Impegno che si corona della collaborazione di tante realtà del terzo settore (Associazione SEBI per la lotta alla leucemia Onlus; CALCIT Tavarnelle; Santa Maria Annunziata Onlus; SCIE – Sul Cammino In Evoluzione APS; TAGES Onlus) e del sostanziale contributo della Sezione soci UNICOOP Firenze di Bagno a Ripoli e del Rotary Club Bagno a Ripoli, oltre che del patrocinio del Comune di Bagno a Ripoli. Un elenco di collaborazioni e consulenti blasonato a cui si spera di aggiungere presto altre realtà ed un crescente grado di risposte e di servizi coordinati verso un compito di responsabilità: rendere percorribili le strade che ci appaiono impraticabili, contribuire ad eliminare le sofferenze superflue legate alla malattia oncologica e offrire uno spazio d’ascolto e di impegno, anche sociale, per quelle inevitabili.

Marco Taddeo – Psicoterapeuta Calcit Chianti Fiorentino

I bisogni psicosociali nei pazienti oncologici dell’OSMA: una indagine qualitativa

L’assistenza psicosociale è una componente fondamentale nel percorso di cura del paziente oncologico e ha l’obiettivo di alleviare il distress emozionale e migliorare la qualità di vita.
La diagnosi di tumore e le sue conseguenze infatti non interessano esclusivamente gli effetti sul corpo su cui generalmente si concentra la maggior parte dell’attenzione, ma influiscono anche su una vasta gamma di aspetti emozionali, psicologici, sociali e culturali. Si parla infatti del cancro come di una malattia bio-psico-sociale.

Vista la rilevanza di un approccio alla cura che comprenda tutte le dimensioni, il Calcit Chianti Fiorentino, in collaborazione con la SOSD Psiconcologia della Asl Toscana Centro diretta dalla Dott.ssa Lucia Caligiani, ha predisposto una raccolta tramite questionario dei bisogni psicosociali per poterli comprendere direttamente dal vissuto dei pazienti. L’obiettivo è quello di poter dare risposte mirate attraverso l’elaborazione di nuovi progetti di sostegno.

La rilevazione è avvenuta tramite un’intervista telefonica fra marzo e settembre 2020 su un campione di 50 pazienti, sia in trattamento che in follow-up, afferenti all’oncologia medica e alla radioterapia dell’Ospedale Santa Maria Annunziata, sede del Dipartimento Oncologico diretto dalla Dott.ssa Luisa Fioretto.

Il campione:

Il campione è formato per il 68% da femmine e il 32% da maschi, con un’età media di 53 anni per le donne e di 60 per gli uomini.
Rispetto al Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) quasi la metà degli intervistati si trovava in fase di follow up mentre fra quelli in terapia attiva la maggioranza stava affrontando una chemioterapia.

 

Per quello che riguarda la malattia il 36% ha una diagnosi di tumore al seno, il 16% di tumore dell’apparato digerente (colon, pancreas), seguiti poi da percentuali più basse di tumori dell’apparato genitale femminile e dai tumori testa-collo. Il 22% del campione presenta inoltre una comorbilità con altra patologia, aggiungendo dunque un fattore di vulnerabilità sia rispetto alla salute che all’adattamento psicosociale.

 

Per quanto riguarda le caratteristiche socio-anagrafiche del campione soltanto una piccola percentuale è single o divorziato e, coerentemente, solo il 10% dichiara di vivere da solo.
Generalmente sembra dunque che gli intervistati siano inseriti in contesti familiari e relazioni stabili, un fattore questo importante rispetto alla possibilità di attivare risorse sociali e affettive utili a fronteggiare la condizione della malattia.
Se la famiglia rappresenta sicuramente una risorsa si deve però considerare che, come dimostrano vari studi, la sua struttura e il suo funzionamento vengono negativamente influenzati dalla malattia: possono infatti emergere conflitti di ruolo, difficoltà di comunicazione, isolamento sociale, disorganizzazione o invischiamento. Ciò evidenzia l’importanza di pensare a interventi psicosociali che siano rivolti non soltanto al paziente ma anche alla sua famiglia.

 

 

Il lavoro è una delle dimensioni più toccate dalla malattia: lo sforzo di adattamento richiesto al paziente dai deficit psicofisici e dalla nuova organizzazione dei tempi di vita legati alla cura è infatti molto alto.
Il 20% degli intervistati dichiara di essere disoccupato, cumulando quindi il distress della malattia a una criticità economica che li rende anche socialmente più fragili, considerando anche che il cancro è una patologia dagli effetti prolungati che può determinare costi economici significativi che pazienti e familiari sono costretti ad affrontare direttamente.

 

Un’altra dimensione importante da considerare al fine di pensare nuovi servizi riguarda chi si occupa del paziente oncologico, ovvero il caregiver.
Secondo questa raccolta di dati più della metà dei pazienti conta sul proprio partner come riferimento affettivo e assistenziale, il 12% su un altro familiare e l’8% sui figli, dove il 63% ha un’età compresa fra i 30 e i 65 anni. Nel 30% dei casi invece il caregiver ha un’età superiore ai 65 anni, sono dunque anziani che si occupano dei bisogni di salute di altri, un dato questo che segnala la necessità di un’assistenza sociosanitaria strutturata e integrata con le figure del territorio.

La famiglia, come già indicato precedentemente, si vede dunque confermare come la fonte principale di cure per il paziente oncologico, per cui il suo stile di funzionamento diviene un fattore importante per il mantenimento del benessere del paziente e dei suoi congiunti.
Un non trascurabile 8% riferisce invece di non avere riferimenti e di contare solo su se stesso, vedendo dunque aumentare le difficoltà di adattamento psicosociale nel PDTA e richiedendo un maggiore intervento dalla rete del territorio.

 

Rispetto ad altre aeree di fragilità due dati importanti su cui portare l’attenzione riguardano quelle famiglie che, oltre al cancro, si trovano a vivere anche la malattia fisica e psichica di un altro familiare, necessitando pertanto di interventi integrati e multi professionali.

 

Bisogni di sostegno e informativi:

I bisogni di sostegno sono stati indagati con una scala Likert a 5 punti dove alla domanda “Quanto è soddisfatto del sostegno che riceve?” 0 equivale a “nessuna soddisfazione” e 5 a “moltissima soddisfazione”.
Dai dati emerge che il paziente oncologico sente di avere buoni livelli di supporto pratico ed emotivo da familiari, partner e amici e, in maniera simile per quanto riguarda quello ricevuto su un piano medico-assistenziale si rileva un buon grado di soddisfazione verso le figure professionali, le strutture del territorio e quelle del volontariato implicate.

 

Nello specifico se si vanno ad approfondire i bisogni relativi alla relazione coi sanitari è rilevante la percentuale di quelli che esprimono il bisogno di avere maggior tempo per il colloquio oncologico, mentre i bisogni informativi relativi ai trattamenti, al piano terapeutico e agli effetti collaterali sembra essere adeguatamente soddisfatto.

Anche l’accesso alle informazioni fornite dai servizi socio assistenziali sono buone, con un bisogno di migliorare quelle offerte dalle Associazioni di Volontariato presenti sul territorio.

 

Bisogni di cura:

Durante il PDTA invece i bisogni di cura più emergenti sembrano essere quelli legati alla dimensione psicologica come la gestione degli aspetti emotivi e dell’immagine corporea, e l’attenzione all’alimentazione intesa come protezione della salute e dello stile di vita, mentre gli aspetti legati all’autonomia e ai bisogni di tipo assistenziale sembrerebbero essere meno impellenti, probabilmente perché già ben supportati dalla rete sociale di appartenenza.
Questi dati sembrano dunque confermare la necessità di interventi e attività sempre più orientati al sostegno degli aspetti psichici, relazionali e riabilitativi del percorso di cura, dove la fatica e la sofferenza della malattia possano essere comunicate e rielaborate.

 

Distress e impatto psicosociale del cancro:

Per quanto riguarda il distress il 58% degli intervistati ha individuato il momento della diagnosi come la fase più difficile da gestire, mentre il 24% ha avuto maggiori sintomi di disadattamento nella fase delle terapie, specialmente quando queste consistevano nella chemioterapia.
Questo ci indica che le prime fasi del PDTA sono quelle che hanno un impatto emotivo più destabilizzante, con valore potenzialmente traumatizzante, e che richiedono pertanto interventi di sostegno psicologico e di psicoeducazione volti a normalizzare e contenere tali reazioni.
Solo l’2% si è sentito maggiormente stressato durante i follow up, indicando dunque come questa possa essere una fase psichica più pronta ad una eventuale rielaborazione dei contenuti emotivi anche attraverso percorsi di riabilitazione psicosociale di gruppo.

 

Rispetto all’impatto che la malattia e i trattamenti hanno su vari ambiti della vita, i pazienti riferiscono per la maggior parte di avere subito effetti negativi sulla loro vita familiare e su quella lavorativa, confermando dunque i dati precedentemente emersi e sottolineando il forte valore di queste dimensioni rispetto all’identità personale. Importanti effetti negativi sembrano coinvolgere anche la vita sociale dove le persone lamentano limitazioni e spesso anche situazioni di isolamento.

 

Uno sguardo fra presente e futuro: i laboratori nella riabilitazione psicosociale

Vista la funzione riabilitativa psicosociale degli interventi di gruppo è stato indagato attraverso il questionario anche il gradimento e l’interesse verso alcuni dei laboratori già attivati in OSMA, sia come verifica dell’utilità delle attività in essere, sia per esplorare nuovi bisogni da accogliere.
La somministrazione è avvenuta durante la pandemia da Covid-19 dove, come misura protettiva, tutte le attività di gruppo erano sospese, questo spiegherebbe in parte l’alta percentuale di persone che hanno dichiarato di non essere interessate alle attività di gruppo.
Un’altra percentuale rilevante non è interessata ai laboratori a causa della condizione fisica legata alla fatigue o perché hanno ricevuto da poco la diagnosi, confermando dunque che la fase del PDTA in cui le persone sono più orientate a questo tipo di intervento sono prevalentemente quelli in follow-up.
Il 26% invece ha paura di sentirsi a disagio in un gruppo e preferisce godere di spazi liberi da malattia, una posizione questa a sostegno della scelta di realizzare i diversi laboratori sul territorio, in un ambiente appunto fuori dall’ospedale dove sia più facile ripensare se stessi oltre il cancro.
Il 14% invece non ha mai partecipato a un laboratorio perché non ne era a conoscenza, un dato che ci indica che i canali di diffusione delle attività del Dipartimento sono buoni ma possono essere migliorati.
Fra le attività rispetto alle quali è stato chiesto di esprimere il grado di interesse secondo una scala da 0 a 5 hanno ottenuto buoni riscontri i laboratori di gestione dello stress e quelli relativi alle attività motorie, segnalando quanto bisogno ci sia di attività che insegnino ad abbassare autonomamente i sintomi di attivazione fisiologica di stress e ristabiliscano il contatto e la presenza con un corpo che ha sofferto.
L’interesse verso le attività espressivo-supportive e i gruppi di psicoterapia, seppur con funzioni diverse, hanno ottenuto risultati analoghi, rilevando una buona percentuale di persone che richiede un lavoro più diretto sull’emotività.
Infine i laboratori legati all’immagine corporea sembrano aver incontrato un interesse minore, un dato questo comprensibile dalla composizione del campione che nel quasi 70% dei casi ha una diagnosi di tumore diversa dal seno che rappresenta il tipo di patologia più impattante sui cambiamenti del corpo.

 

Rispetto a possibili bisogni non emersi o a cui non sia stata data sufficiente risposta è stato infine chiesto quali attività o servizi potrebbero essere attivati per accogliere maggiormente le necessità riscontrate nel percorso terapeutico e riabilitativo della malattia.
Molti hanno indicato il bisogno di avere un unico organo di riferimento, o una carta dei servizi, che dia informazioni e coordini sui vari percorsi terapeutici e riabilitativi, anche delle terapie integrate e complementari come nutrizionista, omeopatia, agopuntura e fitoterapia di supporto.
Una richiesta consistente è stata rivolta anche a interventi che integrino l’aspetto nutrizionale non solo come supporto durante le chemioterapie ma piuttosto come laboratori sullo stile di vita attraverso ad esempio corsi di cucina.
Emerge anche una rilevante domanda sull’attivazione di laboratori e attività di gruppo che siano rivolti anche alle famiglie o ai caregiver e non solo verso i pazienti.
Infine un altro bisogno emerso riguarda la necessità di avere maggior supporto e informazioni su interventi di carattere socio-assistenziale rispetto alle difficoltà economiche e di reinserimento lavorativo, e alle richieste di invalidità, mutua, trasporti e anche servizi di compagnia domiciliare per chi è solo.

Conclusioni:

L’indagine qualitativa condotta all’interno del Dipartimento Oncologico dell’Ospedale Santa Maria Annunziata di Bagno a Ripoli evidenzia quanto la diagnosi di neoplasia e le sue conseguenze abbiano un impatto negativo che va oltre i sintomi fisici e che incide sulla qualità di vita dei pazienti e delle loro famiglie producendo anche effetti di natura sociale.
Una particolare attenzione va data alle variabili socio-anagrafiche del paziente in quanto emerge che le persone non coniugate, in età lavorativa e che sono sottoposte a chemioterapia sono quelle più vulnerabili a manifestare condizioni di intenso disagio emotivo durante il percorso di malattia.
La valutazione delle dimensioni psicosociali è dunque fondamentale nelle fasi di assessment diagnostico e lungo tutto il percorso assistenziale in quanto le capacità di far fronte alla malattia non dipendono soltanto dalle caratteristiche della persona ma anche dalle condizioni di cura e supporto a cui può rivolgersi.
Oltre agli interventi di psicoeducazione e sostegno psicologico e riabilitativo, servizi già presenti all’interno del Dipartimento Oncologico, che sono finalizzati a sostenere i bisogni emotivi fortemente richiesti dai pazienti e dalle loro famiglie, sembra dunque importante incrementare e rafforzare gli interventi di carattere socio-assistenziale presenti sul territorio per creare una continuità di cura che vada oltre le porte dell’ospedale, anche attraverso l’implementazione di attività e laboratori che possano accogliere il paziente e i suoi familiari in luoghi liberi dalla malattia e che ne facilitino il riadattamento psicosociale e la qualità di vita.

 

Dott.ssa Elisa Manfredini
Psicologa Psicoterapeuta
Psiconcologa Calcit Chianti Fiorentino
Ordine degli Psicologi della Toscana n. 5614

Psiconcologia: una importante staffetta

Giugno 2021 è stato un mese di novità per il CALCIT, infatti anche la psiconcologa D.ssa Elisa Manfredini che da due anni lavorava, con un contratto in convenzione CALCIT/USL Toscana Centro, presso la  struttura di Psiconcologia dell’Ospedale di Santa Maria Annunziata, diretta dalla D.ssa Lucia Caligiani, ci ha lasciati perché assunta per concorso in Azienda USL Toscana Nord-Ovest.

La sua è stata una collaborazione molto intensa e proficua con piena soddisfazione delle parti in convenzione, svoltasi in un periodo particolare per la pandemia che ci ha investiti. Sono stati momenti molto difficili per lo svolgimento delle terapie ed il supporto ai malati oncologici, quest’ultimo reso possibile dal progetto di tele-colloqui di cui avevamo già parlato.

Prima di lasciarci la Dottoressa ci ha lasciato uno studio molto importante da lei svolto durante questa lunga collaborazione: trattassi di una indagine sui “bisogni psicosociali nei pazienti oncologici” che di seguito riportiamo.

Dal 1 settembre il suo posto è stato preso dal Dr. Marco Taddeo, già conosciuto dal Calcit per un periodo precedente di collaborazione, che nonostante avesse vinto pure lui un concorso con assunzione prevista presso l’USL Toscana Nord-Ovest, ha preferito mantenere il suo impegno nel settore della psiconcologia presso cui aveva fin’ora lavorato con un contratto libero-professionale a tempo determinato.

ELPIS: un progetto di riabilitazione per i pazienti oncologici

Così si chiama questo nuovo progetto, perché ELPIS, nella mitologia greca, era la personificazione della speranza.

Come avrete letto in un recente articolo apparso su La Nazione, di cui alleghiamo il link per chi volesse leggerlo, questo progetto prevede un centro di riabilitazione per il paziente oncologico e di aiuto ad i suoi familiari. Il progetto nasce dalla collaborazione, ormai trentennale, tra il reparto di Oncologia Medica dell’Ospedale Santa Maria Annunziata, in Bagno a Ripoli, ed il CALCIT Chianti F.no.

Al di là del progetto che, per chi fosse interessato a leggerlo nella sua completezza, alleghiamo qui di seguito, è di rilevante importanza, per la sua realizzazione, la convergenza di varie realtà territoriali locali a partire dagli Enti Locali e le Associazioni del Terzo Settore, ai Servizi Sanitario e Sociale, fino al contributo di Società e Fondazioni a carattere filantropico, scientifico ed umanitario. Possiamo quindi nominare la Onlus Santa Maria Annunziata, Il CALCIT di Barberino Tavarnelle, l’Associazione S.C.I.E., la SIPO, la TAGES Onlus.

Ma in particolare vogliamo rammentare, oltre al supporto ed al patrocinio datoci dal Comune di Bagno a Ripoli, il Rotary Club di Bagno a Ripoli la cui donazione ci ha permesso l’acquisto degli arredi, e la sezione Soci dell’UNICOOP di Bagno a Ripoli la cui donazione ci permetterà di completare importanti acquisti per rendere più fruibile l’ambiente creato.

Pur tuttavia il CALCIT Chianti F.no, che fa da capofila alle altre Associazioni sopra menzionate, ha deciso di avviare comunque il progetto entro la fine dell’anno e lo farà, anche se inizialmente in maniera un po’ ridimensionata non disponendo degli spazi opportuni, mettendo momentaneamente a disposizioni i locali dell’abitazione ricevuta in donazione dalla storica Presidente e fondatrice Wanda Tofanari e pertanto chiamata “CASA WANDA”.

 

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Rotary-Salimbeni

Il Dott.Salimbeni al Rotary Club per presentare la pubblicazione edita dal Calcit sulla prevezione oncologica del Melanoma

Martedì 21 gennaio, presso l’Hotel Westin Excelsior – Piazza Ognissanti – Firenze, nell’ambito delle iniziative del Rotary Club Firenze Sud, è stato presentato il libro Atlante Iconografico di oncologia dermatologica del Dottor Luca Salimbeni, Dermatologo del nostro Poliambulatorio.
L’edizione è stata curata direttamente dalla nostra Associazione.

Ai saluti del Presidente del Rotary Club Firenze Sud, Piero Germani, sono seguiti gli interventi di Giorgio Becattini con una breve illustrazione degli scopi e della natura del Calcit, quello del Dottor Pasquini Perrott Giorgio Aroldo nostro Direttore Sanitario incentrato sulle attività di prevenzione, ed infine la relazione del Dottor Luca Salimbeni.
Quest’ultimo ha fornito una esaustiva descrizione delle patologie della pelle prevalentemente di natura oncologica e forniti preziosi consigli volti a prevenire tali malattie.